Direttiva Madre-Figlia e Convenzione contro le doppie imposizioni

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In tema di distribuzione di dividendi, la Direttiva Madre – Figlia (Direttiva n. 90/435/Cee) è stata recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 136/1993 mediante l’introduzione dell’articolo 27-bis nel D.P.R. 600/1973, oggetto poi di successive modifiche, l’ultima delle quali avvenuta con la L. 122/2016 volta al recepimento della Direttiva UE 2015/121 ed a rimediare alla procedura di infrazione che era stata avviata per via del mancato recepimento della Direttiva 2014/86/UE.

Si può tuttavia porre un legittimo interrogativo: in quale rapporto si pone il recepimento della Direttiva Madre – Figlia che, in materia di distribuzione di dividendi, ne prevede l’esenzione al ricorrere delle prescritte condizioni, con la norma contenuta invece nella Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni stipulata fra l’Italia ed altri Stati dell’Unione europea che regola in altro modo l’eliminazione o l’attenuazione della doppia imposizione? È plausibile sostenere che con l’introduzione nell’ordinamento italiano della Direttiva Madre – Figlia la norma convenzionale sia stata tacitamente abrogata, in forza della ordinaria regola dell’effetto abrogativo determinato dalla legge posteriore rispetto a quella previgente? Oppure, le due disposizioni coesistono trovando un qualche spazio autonomo di applicazione? E se così fosse, come si determina questo spazio di autonoma applicazione delle disposizioni?

La risposta a questi interrogativi è stata fornita da una recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 27111 del 28 dicembre 2016, stimolata invero da un ricorso presentato da una società tedesca che invocava l’applicazione a proprio favore, in quanto beneficiaria di dividendi ricevuti da una controllata italiana, del regime del credito d’imposta previsto, secondo l’allora vigente disciplina, dalla Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Francia. Prescindendo dal caso particolare, ciò che in questa sede ci interessa evidenziare è la soluzione a cui giunge la Suprema Corte nel risolvere gli interrogativi sopra enunciati.

In particolare, i giudici della Cassazione hanno evidenziato come il recepimento della Direttiva Madre – Figlianon produce affatto il superamento della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni. La Direttiva Madre – Figlia, afferma la Cassazione, agisce in modo da determinare con la Convenzione bilaterale “una disciplina complessiva e complementare di contrasto alla doppia imposizione secondo un regime opzionale di alternatività”.

Infatti, Direttiva e Convenzione non sono affatto norme perfettamente sovrapponibili: esse si caratterizzano per diversi presupposti soggettivi, diverse soglie di accesso, diverse modalità applicative e quindi diversi strumenti con cui proporsi l’eliminazione, o quantomeno l’attenuazione, della doppia imposizione.

Le due fonti normative, perciò, si trovano a convivere nell’ordinamento europeo ed in quello nazionale, senza che ciò determini per ciascuna di esse uno “svuotamento di senso e di utilità pratica”. La Convenzione conserva, anche in presenza delle condizioni applicative della Direttiva, la propria piena efficacia come strumento accessibile per contrastare il fenomeno della doppia imposizione nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 67, D.P.R. 600/1973 e 163 del Tuir.

Pertanto, evidenziano i giudici della Cassazione, non è precluso dalla Direttiva Madre – Figlia che la società madre, se ne sussistono i presupposti, possa optare per il regime convenzionale in luogo di quella della esenzione previsto dalla Direttiva stessa; ciò che è precluso è invece che il contribuente possa avvalersi dell’uno e dell’altro regime, perché altrimenti si perverrebbe non al giusto risultato della eliminazione della doppia imposizione, bensì all’appropriazione di un improprio beneficio.

3 gennaio 2017

Fonti: EU

 

Denis Torri

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