Israele e Arabia Saudita : business per la meccanica, metallurgia e beni strumentali

• Israele Le opportunità

• La politica economica dello Stato d’Israele è formata da un interessante mix di soluzioni ed approcci, molto apprezzati a livello internazionale, che costituiscono importanti opportunità di business per le imprese italiane che operano nel settore meccanica e beni strumentali.
L’elemento che maggiormente contraddistingue l’economia del Paese, è l’enorme capacità di innovazione, trasversale a tutti i settori dell’economia, dimostrata dal numero di brevetti pro-capite più alto al mondo e dalla presenza di Istituti di Ricerca fortemente orientati al business. La vocazione delle imprese è poi ovviamente quella dell’export, tenendo anche conto delle dimensioni ridotte del mercato interno (poco più di 8 ml di abitanti), di fattori storico-geografici e della scarsità di ricorse naturali.
Il mercato dell’UE è partner naturale per l’import-export di merci e servizi, favorito anche da politiche di riduzione delle barriere doganali (Da ricordare, peraltro, l’alto debito pubblico, attualmente però in fase di riduzione).
Israele vanta un vero primato a livello mondiale nei settori dell’High Tech: biomedicina, agricoltura, sicurezza (in particolare persone ed ambienti), energie rinnovabili, tecnologie ambientali (risparmio idrico, desalinizzazione), cyberspazio (scambio, modifica ed immagazzinamento dei dati attraverso reti informatiche e strutture fisiche).
Le imprese israeliane, con l’esclusione di quelle nel settore delle difesa, non sono particolarmente strutturate ed in conseguenza di ciò le imprese estere che forniscono un supporto a prototipazione, industrializzazione e produzione, nonché alla fornitura di componentistica, sono favorite come partner commerciali. Questo è quindi uno sbocco naturale per le imprese italiane del settore meccanica e beni strumentali.
Non va infine dimenticato che recentemente in Israele sono stati scoperti importanti giacimenti di gas che aprono ulteriori prospettive per le imprese del settore.
Numerosi sono gli accordi di cooperazione, a livello economico e per la ricerca, attivi tra Italia e Israele.

• Le difficoltà

Esportare in Israele non presenta particolari difficoltà; gli imprenditori devono comunque essere consapevoli che la burocrazia statale presenta inefficienze e le infrastrutture non sempre sono adeguate. Inoltre, per alcuni merci (pericolose, strumentazione militare, o provenienti da Paesi che non hanno rapporti diplomatici con Israele) sono previste delle restrizioni.
Da segnalare che per diversi articoli sono definite norme obbligatorie, in parte studiate per favorire i produttori interni.

• Arabia saudita Le opportunità

• Il Regno dell’Arabia Saudita presenta, nel ricco e costantemente in crescita mercato dei Paesi del Golfo, le migliori opportunità di business per le imprese italiane.
Il Governo sta infatti supportando da diversi anni una politica di diversificazione dal tradizionale settore oil & gas; tale diversificazione è evidente e non si basa unicamente sulla riduzione del prezzo delle materie prime.
• Le opportunità di commercializzazione, anche chiavi in mano, nel segmento della meccanica e dei beni industriali, sono molteplici; di seguito si elencano i settori più importanti:
• petrolchimico ed energia, storicamente il più promettente
• impiantistica, per le aree che vantano costi contenuti dell’energia (l’Arabia Saudita è tra i principali produttori al mondo di fertilizzanti)
• ospedaliero, un settore in grande sviluppo anche grazie alle commesse statali e private, in funzione della politica tesa a migliorare la qualità del servizio sanitario
• trattamento delle acque, costruzioni, lavorazione ed estrazione dei metalli
• Per cogliere al meglio tali opportunità, bisogna considerare alcuni fattori:
• i prodotti “Made in Italy” godono di una buona reputazione in termini di qualità, e sono quindi nel segmento alto della gamma; l’Italia è un partner storico e tra i primi esportatori nel Paese
• le imprese italiane sono apprezzate per la loro flessibilità ed elasticità
• i partner commerciali possono essere sia le imprese private che lo Stato, come anche le imprese che hanno acquisito la fornitura chiavi in mano di impianti, ospedali, complessi civili o industriali
• fondamentale, per consolidare il mercato, è non offrire unicamente prodotti, ma anche la componente di servizio; l’acquisizione di know-how da parte della committenza è un fattore di successo per la conclusione delle trattative commerciali
• l’Arabia Saudita è il primo Paese al mondo per spesa militare in relazione al PIL; dal 2009 (anche se ratificato nel 2007) è in vigore, con l’Italia, un accordo di cooperazione nel settore della difesa.

• Le difficoltà

I principali elementi di difficoltà per le imprese che vogliono esportare in Arabia Saudita, sono rappresentati da:
• l’apparato burocratico che bisogna affrontare per poter esportare, anche se negli ultimi anni l’Arabia Saudita ha avviato un processo di dematerializzazione delle pratiche di accesso al mercato
• i tempi di sdoganamento della merce tendono ad essere molto lunghi; spesso viene richiesta documentazione integrativa oltre a quella già presentata
• non esistono accordi bilaterali tra l’Unione Europea e l’Arabia Saudita, che fa parte del Consiglio di Cooperazione del Golfo –CCG- (insieme a Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Oman) e del “Pan Arab Free Trade Area Agreement”, la “Lega Araba” (Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Comore, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Gibuti, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Palestina, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia, Yemen)
• c’è un incremento delle barriere non tariffarie per l’ingresso delle merci nel Paese
• Le restrizioni previste per le importazioni in Arabia Saudita, di norma non riguardano la meccanica ed i beni strumentali.
Alla luce di quanto sopra, diventa quindi indispensabile disporre di un referente locale, che sia in grado di fornire servizi di supporto, senza i quali diminuiscono le possibilità di concludere in modo positivo gli affari.

font: n.mercati.m.esteri ue

Denis Torri




Redditi prodotti all’estero – Credito d’imposta

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n.9/E del 5 marzo 2015 recante: “Disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero – Articolo 165 del TUIR – Chiarimenti” ha fornito chiari-menti e nozioni operative sul funzionamento del sistema del credito per le imposte pagate all’estero, che consente al contribuente di ovviare alla doppia imposizione internazionale.

Come noto la doppia imposizione internazionale è generata dal sovrapporsi di pretese impositive, tra loro concorrenti, di più Stati che radicano le rispettive potestà tributarie sulla base di criteri non coordinati tra loro. Tale conflitto tipicamente si verifica tra Stato della fonte e Stato della residenza, laddove il primo applichi il principio di territorialità e il secondo adotti un approccio di tassazione del reddito mondiale (il cosiddetto “worldwide principale”).

Rimedi alla doppia imposizione che vengono comunemente adottati dagli Stati consistono nel metodo dell’esenzione e in quello del credito d’imposta.

In particolare l’ordinamento fiscale italiano ha adottato il credito d’imposta (c.d. “foreign tax credit”) sui redditi prodotti all’estero dai propri residenti, già disciplinato dall’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi.

Attualmente, il sistema del credito per le imposte estere è regolato dall’articolo 165 del TUIR, inserito dal decreto legislativo 12 di-cembre 2003, n. 344 dedicato alle “Disposizioni relative ai redditi prodotti all’estero ed ai rapporti internazionali”, applicabile a tutti i soggetti IRPEF e IRES.

In particolare, a differenza della previgente disciplina, l’attuale formulazione dell’articolo 165 del TUIR contiene:

– una diversa modalità di calcolo della quota d’imposta italiana riferita al reddito estero, assumendo al denominatore il reddito complessivo “al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”;

– una definizione di “reddito prodotto all’estero”, mediante il ri-chiamo alla lettura “a specchio” dell’articolo 23 del TUIR;

– il meccanismo del riporto in avanti e indietro delle eccedenze di imposta sia italiana che estera (applicabile ai titolari di reddito d’impresa), per non lasciare inutilizzato l’eventuale credito non fruito in un determinato periodo d’imposta;

– la riduzione del credito in misura proporzionale nei casi di parziale concorrenza del reddito estero all’imponibile del residente; – il riferimento agli istituti del consolidato e della trasparenza fiscale.

L’Agenzia delle Entrate con la circolare in esame fornisce chiari-menti e nozioni operative sul funzionamento del sistema del credito per le imposte pagate all’estero, che consente al contribuente di ovviare alla doppia imposizione internazionale.

A tal fine, l’Agenzia illustra l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dell’articolo 165 del TUIR, con particolare riferimento alla nozione di reddito estero, alla natura e alla definitività dell’imposta estera.

In considerazione della molteplicità degli argomenti trattati, si ri-porta l’indice della circolare.

La circolare è reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate www.agenziaentrate.it.

Denis Torri




Due modelli d’impresa: “Subsidiary” (Controllata o Sussidiaria) o “Branch” (Stabile Organizzazione).

Il processo di internazionalizzazione porta l’imprenditore ad operare una scelta sulla modalità di penetrazione nel mercato estero di riferimento, attraverso la costituzione principalmente di due modelli d’impresa: “Subsidiary” (Controllata o Sussidiaria) o “Branch” (Stabile Organizzazione).

 –       Prima tipologia: la Subsidiary

Una Subsidiary è una società estera le cui azioni o quote sono possedute da una società (o soci) in quantità sufficiente per esercitare un’influenza dominante sull’amministrazione.

In quanto “società di diritto estero”, formalmente costituita fuori dai confini nazionali,  è una entità distinta e separata dalla società madre italiana.

Il reddito prodotto dall’impresa estera è soggetto alla legislazione impositiva dello Stato estero (salvo deroghe).

Se istituita in uno Stato coperto da Convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia, si applicano le norme convenzionali (ad. esempio, si evita la doppia imposizione, le ritenute su royalty subiscono una tassazione ridotta).

Poichè possono sorgere dubbi in merito alla esatta qualificazione del soggetto di diritto estero, il legislatore ha previsto norme ad hoc per stabilire l’esatta residenza ai fini fiscali ed evitare dunque il fenomeno che va sotto il nome di “esterovestizione societaria” (art. 73, TUIR).

Con tale fenomeno si suole indicare il comportamento dell’imprenditore che, attraverso una costruzione meramente artificiosa, delocalizza una propria entity in un paese estero con un basso carico fiscale, al solo scopo di eludere l’imposta ordinariamente dovuta in Italia.

Secondo quanto dispongono gli articoli 5, comma 3, lett. d) e 73, comma 3, del TUIR, “ai fini delle imposte sui redditi….si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato“.

La normativa di riferimento ha, pertanto, previsto tre criteri (uno di carattere formale; gli altri aventi carattere sostanziale), per collegare fiscalmente le persone giuridiche al territorio nazionale:

– la sede legale;

– la sede dell’amministrazione;

– l’oggetto principale.

I presupposti in esame sono fra loro alternativi: è sufficiente che uno solo di essi ricorra perché la società (o l’ente) sia considerato fiscalmente residente in Italia e, conseguentemente, soggetto a tassazione per i redditi ovunque prodotti.

Le sussidiarie estero devono inoltre soggiacere alla disciplina delle “CFC Rules”, dettata dagli articoli 167 e 168 del TUIR), laddove lo Stato di stabilimento è tra quelli inclusi nella c.d. Black list ovvero produce “passive income”.

In estrema sintesi. la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies) regola la tassazione dei soggetti residenti, che hanno una partecipazione di controllo o di collegamento di una società estera ubicata in uno dei Paesi black list (ma anche white list), per trasparenza sui redditi da essa conseguita.

La scelta di costituire una società di diritto estero è dunque ponderabile sulla base della variabile fiscale di cui si è detto.

L’imprenditore può però propendere per tale approccio vagliando anche delle opportunità positive derivanti da una serie di fattori di vantaggio.

La Subsidiary infatti permette di separare le responsabilità per le attività svolte dall’impresa estera al pari di una società a responsabilità limitata nostrana e consente di assoggettare i redditi prodotti fuori dai confini nazionali alla sola tassazione dello Stato estero, salvo applicazione delle norme di cui si è detto poc’anzi.

Infine consente di beneficare di ritenute ridotte (o esenzione) per pagamenti di flussi finanziari come interessi, dividendi e royalty.

Non va sottaciuto comunque il fatto che tale tipologia societaria il più delle volte determina un notevole esborso iniziale per sostenere la fase di “start up” e non consente di dedurre eventuali perdite, se non nell’ambito di un poco utilizzato “consolidato fiscale mondiale“.

 –       Seconda tipologia: la Branch

L’art. 5 del Modello OCSE e l’art. 162 del TUIR definiscono la Branch o Stabile Organizzazione una “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato”.

Tale entità non costituisce un soggetto passivo d’imposta come visto per la Subsidiary, in quanto è priva di indipendenza e di autonomia giuridica.

Per tale ragione il reddito prodotto concorre alla determinazione del reddito della casa madre italiana.

Viene riconosciuto in Italia un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in via definitiva relativamente al reddito prodotto dalla stabile organizzazione (art. 165 T.U.I.R.): “Se alla formazione del reddito concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.

L’art. 14, utlimo comma, del DPR nr. 600/73 stabilisce inoltre che le società le quali esercitano attività all’estero mediante una Stabile Organizzazione “devono rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse”.

Come succede per le sussidiarie, anche le Brach estere presentano vantaggi e svantaggi di varia natura.

Innanzitutto vi è una netta semplificazione degli adempimenti societari rispetto alla Subsidiary

Ed ancora, le perdite prodotte sono deducibili dal reddito complessivo della casa madre italiana, mentre la quota di “valore della produzione” attribuito alla Branch estera non è soggetta a tassazione Irap.

Inoltre non sono previste ritenute alla fonte sui profitti che la Branch attribuisce alla casa madre.

Dal punto di vista degli aspetti negativi, si evidenzia che – per il principio dell’ “attrazione del reddito” – si può verificare una parziale doppia imposizione del reddito prodotto dalla Stabile Organizzazione a fronte di differenze rilevanti nelle regole di determinazione del reddito tra i vari paesi e l’Italia.

Dal punto di vista contabile, vi è un aggravio derivante dall’assoggettamento sia alla normativa estera che a quella italiana, con conseguente duplicazione delle procedure contabili da utilizzare.

Infine si vuole evidenziare come, ai fini IVA, la Branch ha una propria posizione ai fini del tributo in relazione alle prestazioni rese a terzi, generalmente nello Stato in cui essa ha sede.

Pertanto le operazioni poste in essere non sono territorialmente rilevanti in Italia ai sensi dell’art. 7 del DPR nr. 633/72.

Denis Torri