Decreto Legislativo sulla crescita e l’internazionalizzazione delle imprese

Il Consiglio dei Ministri del , 21 aprile 2015, ha approvato in via preliminare i primi schemi dei decreti legislativi di attuazione delle legge delega per la riforma del sistema fiscale (legge n. 23 del 2014).
Degli schemi varati si illustrerà la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

1. In termini generali, lo schema di decreto delegato sulla crescita e l’internazionalizzazione delle imprese contiene previsioni di significativo impatto che meritano, nel complesso, una valutazione positiva.
Alcune misure sono finalizzate a favorire una condivisione con l’Amministrazione finanziaria nell’applicazione della disciplina vigente, in modo da fornire un quadro di riferimento certo agli operatori che vogliano investire in Italia. In questo senso si muovono la nuova disciplina degli accordi preventivi con l’Agenzia delle entrate per le imprese con attività internazionale e il nuovo interpello sul trattamento fiscale degli investimenti da realizzare in Italia di ammontare non inferiore a trenta milioni di euro (artt. 1 e 2 dello schema).
Altre misure hanno lo scopo di colmare lacune e/o di razionalizzare discipline o istituti caratteristici delle imprese che operano sui mercati internazionali. Questa è l’ottica che caratterizza gli interventi in materia:
a) di costi relativi ad operazioni con fornitori residenti in Paesi di black list, chiarendo che è sempre possibile dedurre il valore normale dei beni/servizi effettivamente acquisiti (art. 5),
b) di determinazione dei valori di ingresso dei beni di impresa in caso di trasferimento della residenza dall’estero in Italia, con la precisazione delle ipotesi in cui è possibile fare riferimento al valore normale (art. 12),
c) della nuova disciplina in tema di determinazione dell’imponibile della stabile organizzazione in Italia di soggetti esteri che fissa le regole da seguire, anche nei rapporti con la casa madre, in coerenza con la prassi dell’OCSE e che si propone di risolvere in modo chiaro il problema della corretta quantificazione del fondo
di dotazione (art. 7).
Sempre in questo ambito un cenno a parte, per la loro importanza va fatto alle modifiche relative alla cd. disciplina CFC – società controllate estere – (art. 8) e al nuovo regime della cd. branch exemption (art. 14).
Quanto alla disciplina CFC, viene finalmente eliminato il regime di tassazione per trasparenza delle società collegate in quanto di dubbia compatibilità con l’ordinamento comunitario (art. 168 del TUR). Per quanto riguarda le società controllate (art. 167 del TUIR), si stabilisce che l’interpello è facoltativo e che in mancanza è possibile dimostrare la sussistenza delle esimenti anche in sede di accertamento. In luogo dell’interpello, viene istituito un obbligo di segnalazione delle partecipazioni in società o enti non residenti a carico del contribuente.
Particolarmente innovativa è poi la disposizione dell’art. 14, che consente di optare per l’esenzione degli utili e delle perdite (cd. branch exemption) della stabile organizzazione estera di una società italiana; utili e perdite che normalmente concorrerebbero a formare l’imponibile della casa madre. L’opzione, in pratica, consente alla casa madre di non subire ulteriori prelievi in Italia sull’utile realizzato all’estero tramite una stabile organizzazione, anche se, come è ovvio sono previsti limiti e condizioni anche a fini antielusivi.
Da ultimo, sono da apprezzare le norme di coordinamento che consentono un più ampio ricorso alla disciplina interna del consolidato fiscale da parte delle società residenti in Italia che non sono legate tra di loro da rapporti di controllo, e che sono invece tutte controllate dalla stessa società non residente (art. 6). Non mancano infine anche misure che riguardano la generalità delle imprese e non solo quelle a vocazione internazionale. Segnaliamo, in questo senso, le innovazioni in tema di disciplina di deduzione degli interessi passivi (art. 4) e delle perdite su crediti (art. 13).

fonte: Agenzia Entrate e commenti

 




LE CESSIONI INTRACOMUMITARIE DI BENI

Le cessioni intracomunitarie sono disciplinate dall’art. 41 del D.L. 331/1993 e beneficiano della non imponibilità IVA al perfezionarsi di tre requisiti essenziali.

Innanzitutto è necessario che cedente e cessionario siano soggetti passivi identificati nei rispettivi Stati ai fini IVA, secondariamente, per effetto della vendita, si dovrà trasferire a titolo oneroso il potere di disporre del bene mobile attraverso un passaggio di proprietà o di altri diritti reali di godimento e infine – aspetto che più interessa ai fini del presente contributo – sarà essenziale l’effettiva movimentazione del bene ceduto dallo Stato membro di partenza a quello di destinazione, fattispecie che dovrà essere provata in caso di controllo delle Autorità fiscali.

A differenza di quanto avviene nell’ambito delle cessioni all’esportazione – dove il legislatore tributario ha ben definito nell’art. 8, D.P.R. 633/1972, le modalità con cui deve essere provato il trasporto dei beni al di fuori del Territorio Comunitario grazie anche alla presenza delle Autorità Doganali – per le cessioni intracomunitarie di beni incluse le triangolazioni comunitarie non sono state fornite indicazioni puntuali.

A tal proposito si rileva anche come la Direttiva n. 2006/112/CE, al fine di garantire la libera circolazione all’interno della Comunità, non ha fornito specificazioni al riguardo, ma ha rimesso ai singoli Stati la possibilità di introdurre condizioni limitative per prevenire eventuali abusi o fenomeni distorsivi.

Alcune indicazioni in tal senso, valide sia per le cessioni sia per le triangolazioni comunitarie semplificate, si possono desumere dalle numerose sentenze della Corte di Giustizia UE.

Dai principi affermati è possibile infatti rilevare che il cessionario deve vedersi trasferito il potere dispositivo sul bene oggetto della cessione e in secondo luogo, il fornitore deve provare che il bene sia stato spedito in un altro Stato membro e che, dunque, sia materialmente uscito dal suo territorio e la prova del trasferimento, da fornire anche successivamente all’esecuzione dell’operazione, può essere ottenuta tramite l’esibizione di un documento di trasporto, che può essere:

-“CMR” in caso di trasporto su strada (o lettera di vettura internazionale, ossia una lettera di spedizione relativa al contratto di trasporto internazionale su strada) in cui devono essere presenti una serie di elementi quali: la descrizione dei beni, l’indirizzo di consegna, il nome del conducente e il numero di immatricolazione del veicolo;

-“Airway bill” in caso di trasporto via aerea;

-“Bill of landing” in caso di trasporto via mare.

Bisogna anche rammentare come l’onere della prova del trasporto ricada sul cedente quale soggetto che applica la non imponibilità IVA e sarà pertanto quest’ultimo a dover dimostrare di avere adottato tutte le misure necessarie e la buona fede per non partecipare ad una operazione fraudolenta, mentre non sarà sufficiente l’esibizione dell’eventuale “Modello Intrastat-acquisti” presentato dall’acquirente, il quale rivestirà il carattere di mera prova accessoria.

Non potrà neppure essere richiesto che siano i singoli Stati membri di partenza e di arrivo del bene a scambiarsi le informazioni per provare l’effettivo trasferimento dei beni (e quindi il requisito della non imponibilità).

In tema di dovere di diligenza del cedente, la Suprema Corte (Sentenza n. 13457 del 27.07.2012) ha stabilito che:

“mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario – deve invece affermarsi il dovere del cedente di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte”.

Sono stati numerosi sul punto anche gli interventi di prassi effettuati dall’Agenzia delle Entrate

L’Amministrazione finanziaria ha previsto in definitiva che possono essere considerate prove dell’avvenuta uscita fisica del bene dal territorio nazionale:

-“CMR” cartaceo o elettronico (messo a disposizione in formato pdf) debitamente sottoscritto dal vettore che ha curato il trasporto e dal cessionario che ha ricevuto i beni (requisito peraltro non obbligatorio ma consigliato);

-elenchi Intrastat contenenti l’enunciazione delle operazioni;

-fattura di vendita con i riferimenti alla non imponibilità;

qualsiasi altro documento di trasporto atto a provare l’effettivo trasferimento dei beni (nel caso, ad esempio, in cui il cedente non li abbia direttamente trasportati) contenente le stesse informazioni presenti nel CMR e le firme del cedente, del cessionario e del vettore: in questa categoria rientrano ad esempio le informazioni del sistema informatico del vettore che attestano l’arrivo della merce nello Stato membro di destinazione.

Nel caso particolare di una triangolazione comunitaria interna, se il trasporto è effettuato a cura o in nome del primo cedente, varranno le considerazioni appena esposte, qualora invece, il trasporto sia effettuato su incarico del promotore residente dal primo cedente attraverso anche trasportatori terzi, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che può essere utilizzato qualsiasi mezzo di prova utile a dimostrare il conferimento da parte del promotore dell’incarico del trasporto al primo cedente.

Saranno ritenute ammissibili dalle semplici comunicazioni sino ad apposite clausole contrattuali, il tutto con la finalità di dimostrare dall’origine che l’intento delle cessione nazionale era quello di trasferire i beni direttamente in un altro Stato membro ad un cessionario non residente.

Fonte: esportiamo




Le opportunità: Marocco

La politica economica del Regno maghrebino è piuttosto differenziata e fortemente sostenuta da iniziative del governo, riconducibili al “Patto nazionale per l’emergenza industriale 2009-2015”; tali iniziative, volte anche ad attrarre investimenti esteri, negli ultimi anni hanno ottenuto importanti risultati ed hanno contribuito a ridurre l’emigrazione verso l’Europa. Esse hanno riguardato:

• supporto agli investimenti per l’ammodernamento
• potenziamento della rete delle infrastrutture
• creazione ed estensione delle aree produttive attrezzate
• potenziamento della logistica integrata
• deregolamentazione di diversi settori
• normative più flessibili per quanto concerne il mercato del lavoro ed il sistema bancario
Il Paese vanta quindi uno sviluppo industriale costante, che ha favorito, da parte degli investitori esteri, la creazione di importanti stabilimenti, anche, ad esempio, nel settore dell’automotive e dell’aero-spazio-difesa (Renault, Bombardier, ecc.).
Tra i settori più promettenti:
• industria tessile: il Paese è uno dei principali produttori di articoli per abbigliamento, quindi la sua industria tessile necessita di macchinari ed attrezzature; la tecnologia italiana, leader in alcuni ambiti del comparto, è molto apprezzata; l’ambito di specializzazione delle industrie marocchine è concentrata sulle filiere di: maglia, tessuto (trama ed ordito), jeans, arredamento tessile;
• trasporto ferroviario, marittimo, stradale e aereo: il settore è in notevole crescita con un’importante domanda di componenti ed impianti. Notevole impulso è dato anche dallo sviluppo di una rete logistica integrata, sviluppo favorito dalle politiche governative;
• energia: lo sviluppo è reso possibile dai piani di investimento governativi (in particolare per eolico e fotovoltaico), volti ad aumentare l’indipendenza del paese dalle fonti di approvvigionamento tradizionali;
• industria estrattiva e chimica: il Marocco è tra i principali produttori al mondo di fosfati, anche se è importante la presenza di altre aziende del settore chimico (vernici, colle, ecc.);
• industria meccanica: vanta notevoli tassi di crescita anche grazie alla presenza di importanti investimenti stranieri; apre quindi importanti opportunità per la subfornitura;
• costruzioni/edilizia: anche qui, forte crescita e conseguente necessità di un’ampia tipologia di macchinari (ascensori, impianti di condizionamento e trattamento dell’aria, macchine movimento terra, escavatori);
• agricoltura (irrigazione), trasformazione alimentare, pesca (trasformazione ittica, catena del freddo), cantieristica.

Numerosi sono gli accordi di cooperazione a livello economico e doganale stipulati tra l’Unione Europea ed il Marocco; per alcuni settori sono già attivi degli accordi di libero scambio; per altri essi sono in fase di perfezionamento o definizione (vedi l’Accordo di Libero Scambio Completo ed Approfondito: ALECA).
Le difficoltà

Non si segnalano particolari difficoltà per quanto riguarda l’approccio al mercato; da segnalare però che per il Marocco i partner tradizionali, anche in virtù di ridotte barriere linguistiche, fattori storici e vicinanza geografica, sono quelli della Francia, in primis, e della Spagna. Tali Paesi sono da sempre riconosciuti come partner economici privilegiati; peraltro, gli scambi con l’Italia negli ultimi anni sono andati sviluppandosi e consolidandosi.
In ogni caso, e importante il supporto di referenti locali che siano in grado di fornire supporto specialistico per poter concludere con successo le trattative commerciali.

Fonte: newm