World Economic Forum 2017

Anche quest’anno a Davos, in Svizzera , si sono riuniti i principali attori della politica e dell’economia internazionale per dar vita al World Economic Forum, organizzazione attiva ormai da quasi mezzo secolo (1971) che si professa ufficialmente impegnata nel “miglioramento della condizione del mondo”.

Tuttavia nel corso di questa edizione, forse ancor più che in passato, il forum ha tracciato un quadro tutt’altro che incoraggiante.

Non solo per i possibili shock che potrebbero verificarsi a livello internazionale a causa di eventi come la Brexit e l’annunciata politica economica di stampo protezionistico che il nuovo governo USA dovrebbe mettere in campo nei prossimi anni ma specialmente per quel che riguarda il tema della distribuzione della ricchezza nel mondo.

Credit Suisse, società leader di mercato a livello mondiale nell’ambito dei servizi finanziari, ha infatti analizzato i dati disponibili sulla distribuzione della ricchezza nel mondo descrivendo un’umanità (considerando solo soggetti in età adulta) divisa in quattro fasce:

  • la prima fascia abbraccia tutti gli individui che posseggono una ricchezza complessiva superiore al milione di dollari (33 milioni di persone pari allo 0,7% del cosiddetto mondo adulto). Questa minuscola porzione di popolazione detiene oltre il 45% della ricchezza complessiva;
  • la seconda fascia di persone detiene ricchezza in una fascia che va dai 100mila fino al milione di dollari. Stiamo parlando di 365 milioni di persone (il 7,5% del campione) che detengono oltre il 40% della ricchezza globale;
  • la terza fascia di persone, che possiede fra 10 e 100mila dollari, comprende poco meno di 900 milioni di persone ovvero il 18,5% del totale e può contare sull’11,4% della ricchezza mondiale;
  • infine, all’ultima fascia, con meno di 10mila dollari, appartengono oltre 3,5 miliardi di persone, pari al 73,2% degli adulti, che devono spartirsi appena il 2,4% della ricchezza.

In parole povere, secondo i dati diffusi da Credit Suisse, metà della popolazione adulta (corrispondente a circa i ¾ di quella totale) può contare complessivamente meno dell’1% della ricchezza totale mentre il 10% più ricco possiede poco meno del 90% di tutti i beni globali.

Un’ altro dato, ancor più negativo, è stato poi diffuso dall’Ong britannica Oxfam, che ha preso in considerazione la totalità della popolazione mondiale (non solo gli adulti).

Quello che è emerso è davvero sconvolgente: nel mondo otto individui, da soli, posseggono la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta vale a dire circa 3,6 miliardi di persone.

Ciò equivale a dire che l’1% più ricco dell’umanità possiede più del restante 99%.

Non ci vuole quindi un intuito particolarmente raffinato per affermare che l’attuale sistema economico mondiale globalizzato, pur avendo certamente favorito il miglioramento della qualità della vita di diversi milioni di persone, è strutturato in modo da agevolare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di una ristrettissima cerchia di individui.

Ma la globalizzazione, che è senza dubbio un fenomeno complesso e difficile da gestire, sembra essere entrata in crisi di consensi e per questo, nel mondo, assistiamo alla rinascita (ed in alcuni casi alla vittoria) di alcune posizioni politiche che, almeno a parole, bramano un ritorno a politiche protezionistiche.

Questa tendenza è ben riassunta in uno dei passi più importanti del discorso d’insediamento pronunciato dal nuovo Presidente americano Donald Trump che si è affrettato a mandare un messaggio piuttosto chiaro ai suoi cittadini e all’imprenditoria a stelle e strisce: “Buy american, hire american”.

Proprio sui collaboratori del tycoon presenti a Davos e sul Presidente cinese Xi Jinping si sono concentrate le attenzioni dei media.

E ciò che ha stupito maggiormente è stato vedere un mondo quasi alla rovescia con la Cina a tessere le lodi delle globalizzazione“Dobbiamo dire no al protezionismo. Perseguire il protezionismo è come chiudersi dentro una stanza buia. Vento e pioggia possono pure restare fuori, ma resteranno fuori anche la luce e l’aria”.

Dunque anche se Pechino oggi è tutt’altro che un esempio di liberismo economico è toccato a Xi difendere la globalizzazione ed il libero scambio ad un vertice che ha visto un’Europa ancora scossa dal colpo della Brexit e gli USA che sono apparsi decisi a sanzionare le aziende che intendono spostare la produzione fuori dal suolo americano.

Dunque nei prossimi anni l’ipotesi che Cina e USA giochino sul palcoscenico dell’economia mondiale una partita totalmente diversa è concreta anche se, come ha detto Antony Scaramucci, stretto consigliere di Donald Trump: “Né gli Stati Uniti né la Cina vogliono una guerra commerciale”.

Un altro attore, il Regno Unito, rappresentato dal suo primo ministro May è apparso addirittura entusiasta del suo divorzio da Bruxelles che potrebbe portare ad un significativo rallentamento degli scambi commerciali britannici con l’estero: “Il percorso sarà incerto a volte per il Regno Unito, ma il futuro fuori dall’Ue sarà radioso […]. Il Regno Unito conquisterà un nuovo ruolo di leader come il rappresentante più forte a livello di imprese e commercio. Il Regno Unito sarà un Paese sicuro che controlla il proprio destino”.

Anche qui l’eco nazionalista e patriottico appare abbastanza evidente. E se si riflette sul precario stato di salute dell’Ue, vale a dire il più importante progetto economico-politico sovranazionale in itinere, si comprende ancor meglio la direzione che l’economia mondiale (probabilmente) prenderà nel prossimo futuro.

Insomma in una realtà sempre più tendente verso il protezionismo l’Europa sembra essere destinata ad un ruolo di secondo piano dal momento che anche un organismo “storico” come la Nato sembra essere diventata oggetto di discussione.

E se da una parte è vero che la globalizzazione è un processo per certi versi involontario, i dati emersi a Davos evidenziano la necessità di amministrarla – magari attraverso una nuova serie di regole e limitazioni – al fine di non alimentare nuove diseguaglianze sociali.

Fonti: WEF, Creditsuisse; Exp, Diversi

 

Denis Torri




Stabile organizzazione e Iva 2017: interpello sui nuovi investimenti

Pubblicata dall’Agenzia delle Entrate la prima risposta agli interpelli sui nuovi investimenti delle grandi imprese.

Pubblicata sul sito dell’Agenzia la prima risposta all’interpello sui nuovi investimenti, introdotto nel nostro ordinamento dal D.lgs. n. 147/2015 sull’internazionalizzazione delle imprese. Il quesito, sottoposto da una grande multinazionale, riguarda gli aspetti fiscali di un piano di investimento che supera la soglia di 30 milioni di euro prevista dall’art. 2 del Decreto legislativo e che, se realizzato, comporterebbe l’ampliamento della produzione della società italiana appartenente al gruppo, ricadute occupazionali (assunzione a tempo indeterminato di circa cento dipendenti) e maggior gettito Irpef, Ires e Irap. I chiarimenti forniti dall’Agenzia sono contenuti nella risoluzione n. 4/E del 17.01.2017.

Di seguito il testo del comunicato stampa ed il testo della Risoluzione:

I soggetti coinvolti nel piano di investimento – Nell’interpello, il gruppo multinazionale XY presenta alle Entrate il progetto di un nuovo investimento che prevede la produzione di alcuni prodotti presso lo stabilimento della società italiana del gruppo (Alfa) e la creazione di un hub logistico per la distribuzione dei prodotti realizzati nei vari stabilimenti del gruppo. Le società del gruppo coinvolte nel nuovo investimento sono:

  • la società Alfa, con sede legale in Italia;
  • la società consociata Beta, con sede legale in uno Stato estero (Stato B);
  • la società controllante Gamma, con sede in un altro Stato estero (Stato C).

Quando sussiste la stabile organizzazione – Nell’interpello l’Agenzia chiarisce che l’ipotesi di una stabile organizzazione non si realizza a condizione che Beta non svolga nel centro logistico attività di “deposito, di esposizione o di consegna di merci” di altre imprese, ad esempio Alfa. Per non integrare l’ipotesi di stabile organizzazione “materiale” è inoltre necessario che nella sede dell’hub non vengano svolta attività diverse da quelle di “deposito, di esposizione o di consegna di merci”, come ad esempio attività commerciale di raccolta degli ordini o di vendita dei prodotti di Beta.

L’Iva sulle operazioni connesse al piano d’investimento – Nell’interpello, l’Agenzia fornisce anche chiarimenti sul trattamento fiscale da applicare in materia di Iva a una serie di operazioni di acquisto finalizzate alla successiva rivendita poste in essere dalla società consociata Beta. Tra i casi esaminati nella risoluzione, gli acquisti intracomunitari e le importazioni di prodotti finiti con introduzione in un deposito fiscale utilizzato ai fini Iva. L’Agenzia specifica che le risposte fornite con l’interpello hanno valore nei confronti di Alfa, Beta e Gamma, finché le circostanze di fatto e di diritto descritte nella richiesta di parere restano invariate.

Il Fisco “consulente” scioglie i dubbi delle grandi imprese – L’articolo 2 del D.lgs. n.147/2015, noto come “decreto internazionalizzazione”, ha introdotto l’interpello sui nuovi investimenti, mediante il quale le imprese che intendono effettuare investimenti in Italia, di ammontare non inferiore a trenta milioni di euro e che abbiano significative ricadute occupazionali, possono presentare all’Agenzia delle Entrate un piano di investimento per conoscerne il trattamento fiscale. L’Agenzia, dopo aver esaminato l’istanza, emana una risoluzione rendendo pubbliche le posizioni interpretative rese in risposta agli interpelli di interesse generale.

Fonte: Agenzia delle Entrate

Denis Torri

 




Istruzioni consolidato nazionale e mondiale 2016

Documento Consolidato Nazionale Mondiale

Fonte: Agenzia Entrate

Denis Torri




Economia svizzera 2017: verso una nuova normalità

Gli economisti di Credit Suisse lasciano invariate all’1,5% le previsioni di crescita dell’economia svizzera per il 2017, mentre correggono le previsioni per il 2016 dall’1 all’1,5%. Nonostante questa revisione, la crescita continuerà a essere più debole rispetto ai livelli raggiunti prima dello shock del franco. In particolare, secondo gli economisti di Credit Suisse, nel 2017 si registrerà uno sviluppo modesto dei consumi privati. Se finora l’apprezzamento del franco pesava soprattutto sugli utili d’impresa, nel frattempo se ne riscontrano gli effetti anche sulla crescita salariale, che al netto del rincaro subirà addirittura una battuta d’arresto. Allo stesso tempo si sta indebolendo il flusso migratorio. Alcune modellazioni evidenziano che un aumento della partecipazione al mercato del lavoro da parte di donne e lavoratori più anziani riuscirebbe difficilmente a compensare la riduzione del tasso di immigrazione. Anche per questo motivo, sembra improbabile un ritorno ai livelli di crescita precedenti alla crisi finanziaria

Anche nel 2017 l’economia svizzera non raggiungerà la velocità di crociera. Manca lo slancio per alcuni importanti fattori trainanti della crescita, in particolare l’immigrazione. Questa la conclusione cui sono giunti gli economisti di Credit Suisse nell’ultima edizione dello studio «Monitor Svizzera». Negli ultimi sette anni la crescita dei consumi si è basata per più di un quarto sull’immigrazione. Per il prossimo anno è prevista una maggiore domanda dovuta all’immigrazione, che dovrebbe tuttavia ammontare a quasi un quinto in meno rispetto all’anno precedente. Al tempo stesso il clima di fiducia dei consumatori continua a risentire delle notizie negative provenienti dalla Svizzera e dall’estero. L’indice di incertezza, basato sul conteggio delle occorrenze dell’espressione «incertezza politica» nei media, ha raggiunto ad esempio un nuovo livello record in concomitanza con il voto sulla Brexit. Se le conseguenze dirette della Brexit per l’economia elvetica saranno verosimilmente limitate, si puntualizza che con ogni probabilità la piazza finanziaria svizzera trarrà meno vantaggi del previsto da un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Nessun grande cambiamento in vista sul fronte degli investimenti

Stando alle attuali previsioni di Credit Suisse, neppure gli investimenti daranno un nuovo slancio alla crescita economica nel prossimo anno. Se da un lato gli sforzi di razionalizzazione, i bassi tassi d’interesse e le valutazioni elevate delle azioni favoriscono gli investimenti in attrezzature e macchinari, dall’altro la difficile situazione dei ricavi e l’incertezza tuttora elevata sul fronte politico, ad esempio in relazione ai rapporti tra Svizzera e UE, hanno un effetto inibitore. «La Svizzera deve garantire la presenza di condizioni quadro favorevoli per la piazza economica», spiega Thomas Gottstein, CEO di Swiss Universal Bank presso Credit Suisse. «Alcune grandi aziende lamentano il fatto che la Svizzera stia perdendo terreno, mentre le PMI temono un deterioramento delle condizioni quadro».

Nessun incremento della quota di disoccupati, ma anche assenza di crescita dei salari reali

Le decisioni a livello di consumi dipendono innanzitutto dalla situazione del mercato del lavoro. Gli economisti di Credit Suisse prevedono per il prossimo anno un tasso di disoccupazione invariato del 3,3%. «Considerato lo sfruttamento sostanzialmente robusto delle capacità, le imprese, ove possibile, mantengono invariati i loro organici», spiega Oliver Adler, responsabile di Economic Research di Credit Suisse, «in ragione della flessione dei margini e degli utili, le aziende cercano tuttavia di ridurre i costi salariali». Da un lato ricorrono dunque maggiormente al lavoro a tempo parziale e, dall’altro, limitano le retribuzioni. Questo si tradurrà in un aumento minimo dei salari nel 2017: stando alle previsioni di Credit Suisse, la crescita nominale sarà pari allo 0,5%. Poiché per la prima volta dopo cinque anni il rincaro dovrebbe tornare in territorio positivo (0,5%), non vi sarà tuttavia un incremento reale della capacità d’acquisto.

Crescita limitata degli investimenti nell’edilizia

Secondo gli economisti di Credit Suisse, l’accelerazione prevista a breve termine per gli investimenti edilizi è dovuta principalmente all’edilizia abitativa, favorita dallo scenario di tassi bassi. Credit Suisse prevede tuttavia una contrazione della domanda di appartamenti destinati a locazione e di edifici adibiti a uffici, nonché un aumento delle superfici sfitte, per via dell’indebolimento della crescita della popolazione e della minore crescita occupazionale. Questo dovrebbe frenare la crescita degli investimenti nell’edilizia il prossimo anno, anche se, secondo gli economisti di Credit Suisse, la Banca nazionale svizzera (BNS) confermerà la propria politica di tassi negativi almeno fino alla fine del 2017.

Dovrebbero continuare ad aumentare i volumi reali delle esportazioni

Secondo gli economisti di Credit Suisse, dovrebbe distendersi ulteriormente la situazione per gli esportatori. Grazie alla combinazione di interessi negativi e acquisti di valute estere da parte della Banca nazionale svizzera, e presupponendo l’assenza di significative distorsioni sui mercati finanziari internazionali, il franco dovrebbe svalutarsi leggermente nel corso dell’anno. Nel contempo, il barometro delle esportazioni di Credit Suisse, che fornisce una valutazione approssimativa della domanda estera di merci elvetiche, indica che la crescita delle esportazioni dovrebbe proseguire nei prossimi mesi, pur con significative differenze a livello settoriale, come evidenzia la sezione dello studio dedicata ai settori.

La crescita ha bisogno dell’immigrazione

Per tornare a tassi di crescita maggiori occorre un aumento più sostenuto della produttività o un aumento della popolazione attiva. Quest’ultimo fattore risentirà fortemente dell’attuazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, in quanto la migrazione contribuisce al momento per oltre l’80% alla crescita della popolazione. Per farsi un’idea dell’incidenza di una limitazione dell’immigrazione sulla popolazione attiva della Svizzera, gli economisti di Credit Suisse hanno elaborato delle modellizzazioni presupponendo diversi tipi di migrazione. Nei cinque scenari esaminati, nei prossimi anni la crescita della popolazione attiva rallenterà principalmente a causa di fattori demografici e giungerà a una battuta d’arresto già ipotizzando una limitazione non troppo restrittiva della migrazione nel 2020. Anche presupponendo che il saldo migratorio si stabilizzi, a partire dal 2030, a 40 000 persone all’anno, il che corrisponde alla media pluriennale degli ultimi 35 anni, al più tardi a partire da questo momento la popolazione attiva cesserà di crescere. Una ricetta evidente per impedire un rallentamento della crescita o addirittura una flessione della popolazione attiva consiste nell’incremento della partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto tra donne e lavoratori più anziani. In base ai calcoli di Credit Suisse, il già elevato tasso di occupazione della popolazione elvetica dovrebbe aumentare notevolmente per potersi mantenere sul sentiero di crescita. Una compensazione del calo dell’immigrazione sembra poco realistica.

Panoramica degli altri contenuti dell’ultimo studio «Monitor Svizzera»

Bilancio della BNS e regolamentazione

L’attuale somma di bilancio della BNS di CHF 690 mia. non dovrebbe ridursi in tempi troppo brevi. Secondo gli economisti di Credit Suisse, a causa delle nuove regolamentazioni bancarie, la BNS e altre banche centrali avranno un bilancio patrimoniale notevolmente superiore rispetto a prima della crisi finanziaria globale.

Andamento divergente delle esportazioni

Gli economisti di Credit Suisse hanno messo a punto un nuovo indicatore per prevedere meglio quali settori acquistano o perdono slancio. L’attuale dinamica delle esportazioni nell’industria orologiera si presenta fortemente negativa.

Brexit: per la Svizzera un salto nel buio

Per la Svizzera le conseguenze del voto sulla Brexit nel medio e lungo periodo restano incerte. Le trattative con l’UE dovrebbero persino risultare più difficili a breve termine. La popolazione svizzera intravede dei vantaggi per l’economia e la politica.

Fonti: CS, EU

Denis Torri




Direttiva Madre-Figlia e Convenzione contro le doppie imposizioni

In tema di distribuzione di dividendi, la Direttiva Madre – Figlia (Direttiva n. 90/435/Cee) è stata recepita nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 136/1993 mediante l’introduzione dell’articolo 27-bis nel D.P.R. 600/1973, oggetto poi di successive modifiche, l’ultima delle quali avvenuta con la L. 122/2016 volta al recepimento della Direttiva UE 2015/121 ed a rimediare alla procedura di infrazione che era stata avviata per via del mancato recepimento della Direttiva 2014/86/UE.

Si può tuttavia porre un legittimo interrogativo: in quale rapporto si pone il recepimento della Direttiva Madre – Figlia che, in materia di distribuzione di dividendi, ne prevede l’esenzione al ricorrere delle prescritte condizioni, con la norma contenuta invece nella Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni stipulata fra l’Italia ed altri Stati dell’Unione europea che regola in altro modo l’eliminazione o l’attenuazione della doppia imposizione? È plausibile sostenere che con l’introduzione nell’ordinamento italiano della Direttiva Madre – Figlia la norma convenzionale sia stata tacitamente abrogata, in forza della ordinaria regola dell’effetto abrogativo determinato dalla legge posteriore rispetto a quella previgente? Oppure, le due disposizioni coesistono trovando un qualche spazio autonomo di applicazione? E se così fosse, come si determina questo spazio di autonoma applicazione delle disposizioni?

La risposta a questi interrogativi è stata fornita da una recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 27111 del 28 dicembre 2016, stimolata invero da un ricorso presentato da una società tedesca che invocava l’applicazione a proprio favore, in quanto beneficiaria di dividendi ricevuti da una controllata italiana, del regime del credito d’imposta previsto, secondo l’allora vigente disciplina, dalla Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Francia. Prescindendo dal caso particolare, ciò che in questa sede ci interessa evidenziare è la soluzione a cui giunge la Suprema Corte nel risolvere gli interrogativi sopra enunciati.

In particolare, i giudici della Cassazione hanno evidenziato come il recepimento della Direttiva Madre – Figlianon produce affatto il superamento della convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni. La Direttiva Madre – Figlia, afferma la Cassazione, agisce in modo da determinare con la Convenzione bilaterale “una disciplina complessiva e complementare di contrasto alla doppia imposizione secondo un regime opzionale di alternatività”.

Infatti, Direttiva e Convenzione non sono affatto norme perfettamente sovrapponibili: esse si caratterizzano per diversi presupposti soggettivi, diverse soglie di accesso, diverse modalità applicative e quindi diversi strumenti con cui proporsi l’eliminazione, o quantomeno l’attenuazione, della doppia imposizione.

Le due fonti normative, perciò, si trovano a convivere nell’ordinamento europeo ed in quello nazionale, senza che ciò determini per ciascuna di esse uno “svuotamento di senso e di utilità pratica”. La Convenzione conserva, anche in presenza delle condizioni applicative della Direttiva, la propria piena efficacia come strumento accessibile per contrastare il fenomeno della doppia imposizione nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 67, D.P.R. 600/1973 e 163 del Tuir.

Pertanto, evidenziano i giudici della Cassazione, non è precluso dalla Direttiva Madre – Figlia che la società madre, se ne sussistono i presupposti, possa optare per il regime convenzionale in luogo di quella della esenzione previsto dalla Direttiva stessa; ciò che è precluso è invece che il contribuente possa avvalersi dell’uno e dell’altro regime, perché altrimenti si perverrebbe non al giusto risultato della eliminazione della doppia imposizione, bensì all’appropriazione di un improprio beneficio.

3 gennaio 2017

Fonti: EU

 

Denis Torri