La reflazione si rafforza

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I dati economici mondiali riferiti al mese scorso hanno confermato che è in atto una reflazione, perlomeno nel mondo industrializzato. L’indice CPI mondiale è cresciuto del 2% alla fine del 2016 e prevediamo un’ulteriore accelerazione quest’anno. I dati più recenti per il trimestre in corso indicano un aumento su base annua di poco superiore al 3%, ma ci aspettiamo un allentamento delle pressioni al rialzo nel corso dell’anno. L’impennata si deve alla trasmissione ritardata dell’incremento dei prezzi energetici e agricoli sul finire del 2016, ma tale effetto scemerà nei mesi a venire grazie alla stabilizzazione delle materie prime. Il rialzo dei prezzi al consumo riduce tuttavia il potere d’acquisto delle famiglie, frenando la crescita. Un chiaro esempio ne sono gli Stati Uniti, dove un sostenuto aumento dell’inflazione ha determinato un declino dello 0,3% m/m dei consumi reali a gennaio (dati J.P. Morgan).

Il riaffacciarsi della reflazione ha obbligato i banchieri centrali a cambiare registro: durante l’appuntamento semestrale di fronte al Committee on Banking, Housing, and Urban Affairs del Senato americano, la Presidente della Fed Janet Yellen ha indicato, come ampiamente atteso, che il FOMC è pronto a innalzare i tassi nel corso delle prossime riunioni. La sorpresa al rialzo del CPI di gennaio, salito del 2,5% a/a, e i robusti dati sul mercato del lavoro hanno reso più probabile una stretta sui tassi nel prossimo futuro. Riteniamo tuttavia che il prossimo aumento arriverà verosimilmente a maggio. In primo luogo, sulle decisioni della Fed pesa l’incertezza politica circa l’agenda dell’amministrazione Trump. Aspettare qualche mese potrebbe dare all’esecutivo la possibilità di fare chiarezza sui propri piani in materia fiscale e di infrastrutture. La recente propensione del FOMC a preparare i mercati a una svolta suggerisce inoltre che un rialzo a marzo potrebbe essere prematuro, e che la riunione potrebbe rappresentare invece una buona occasione preparatoria.

Gli ultimi dati provenienti dall’euro area mostrano che la ripresa ha finalmente acquistato vigore. A febbraio gli indici PMI hanno raggiunto i massimi degli ultimi sei anni, lasciando presagire una crescita del PIL superiore al 2% nel 2017. L’inflazione a gennaio ha sorpreso i mercati al rialzo e continuerà probabilmente a salire a causa dell’effetto base dei maggiori prezzi delle materie prime. Se gli indicatori resteranno solidi durante l’anno, le pressioni sul Consiglio Direttivo della BCE affinché inizi a ritirare il QE a partire da dicembre si faranno probabilmente più intense, specialmente nel nord Europa.

Nella UEM i mercati si trovano inoltre di fronte ad accresciuti rischi politici. Dopo l’esito inaspettato del referendum sulla Brexit e delle presidenziali americane, gli investitori sono preoccupati dal fitto calendario elettorale dei prossimi mesi (Olanda, Francia e possibilmente Italia andranno alle urne). A intimorire gli operatori è soprattutto la crescente popolarità di partiti e movimenti nazionalisti ed euroscettici in alcuni Paesi fondatori dell’euro area, il che potrebbe portare eventualmente alla sua disgregazione. I riflettori sono puntati sulla Francia: stando a un recente sondaggio, la candidata del partito anti-UE Front National, Marine Le Pen, ha consolidato il proprio vantaggio e dovrebbe ricevere il 28% dei consensi nel primo turno. Si esclude tuttavia un suo insediamento all’Eliseo a causa delle peculiarità del sistema elettorale francese. Se nessun candidato otterrà una maggioranza assoluta al primo turno, i primi due classificati andranno al ballottaggio. Le Pen vincerà probabilmente la prima tornata, ma si prevede che al ballottaggio i partiti tradizionali uniranno le forze e sosterranno il suo avversario, come già avvenuto in occasione delle elezioni regionali del 2015. Permane tuttavia l’incertezza a causa delle previsioni errate di sondaggisti e analisti durante lo scorso anno. Guardando ai mercati finanziari, la pressione sulla Francia si è intensificata, come dimostra l’aumento sostenuto del prezzo dei CDS a cinque anni e l’allargamento del differenziale rispetto al bund tedesco. Sebbene non si possano escludere rischi politici, continuiamo a credere che le imminenti elezioni nella UEM non porteranno al potere governi populisti. Ci aspettiamo tuttavia una maggiore volatilità nei mesi a venire.

Fonte: UE, USA

Denis Torri

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